Quando il termine "durare a lungo" spesso non è sinonimo di "voglio un prodotto sicuro"
I granulomi sono una delle più frequenti complicanze dovute all'inoculo di filler dermici, fortunatamente molto raramente, capita di imbattersi in soggetti che lamentano la formazione di palline, noduli o cisti causate dall'impianto di fillers.
Negli ultimi anni queste evenienze si sono largamente ridotte, ciò è dovuto all'utilizzo di prodotti più moderni che utilizzano agenti di cross-linking molto puri e presenti in percentuali minime rispetto al passato. Sicuramente anche grazie all'evoluzione delle tecniche di inoculo: dall'ago si è largamente passati all'utilizzo della cannula, evitando quindi la formazione di accumuli.
Ritengo che uno dei principali fattori di rischio sia la richiesta "voglio un filler che duri a lungo". Questo spinge il medico ad utilizzare dei fillers semipermanenti (in passato silicone ora fortunatamente bandito), o jaluronici ad elevato peso molecolare e di lunga durata. Il paziente, non è conscio del fatto che un corpo estraneo, come può essere una molecola di filler, inserito in un tessuto umano, non è inerte, ma va incontro ad una serie di processi biologici, che hanno la finalità di isolarlo dal resto del corpo.
Un moderno filler BBDE, con medio/alto G', e con caratteristiche reologiche eccellenti, ha una durata stimata di 6 mesi, durante i quali viene metabolizzato ( = sciolto) dalle jaluronidasi tissutali. Questo non deve essere visto come una limitazione, bensì come una sicurezza: passati 6 mesi non ci sarà più traccia della sostanza inoculata, sia che la procedura sia stata gradita, ma ancor più importante, in caso ci siano stati degli effetti non desiderati.
Invece, filler di durata superiore, di consistenza dura e con agenti crosslinkanti resistenti alle jaluronidasi, possono portare a gravi problemi nel corso del tempo. Il processo cui vanno incontro questi prodotti è la formazione di una capsula di collagene che isola il prodotto dall'ambiente circostante, tale e quale all capsula periprotesica delle protesi mammarie. Questo perché il filler viene riconosciuto come estraneo, e la risposta del nostro corpo è di isolarlo. Viene quindi prodotto collagene fibrotico e ne risulta un nodulo duro, che può essere più o meno palpabile e fastidioso a seconda della localizzazione.
Recentemente ho avuto due casi di pazienti che si sono presentati da me con granulomi. Entrambi estremamente difficili da curare per localizzazione e presenza di abbondante tessuto fibroso.
Il primo caso
Il primo caso è una paziente di sesso F, con granulomi zigomatici databili a 2 anni prima, causati da inoculo di filler per la volumizzazione del corpo e di idrossiapatite di calcio. La reazione dovuta al miscuglio di questi due prodotti è stata molto violenta con liponecrosi e formazioni di cisti, che andavano periodicamente incontro ad infiammazione. Nel contesto circostante, la liponecrosi determinava la formazione di una fibrosi estesa, con ampio svuotamento delle guance.
Al primo incontro con la paziente, il problema maggiore era sicuramente la fibrosi dovuta alla distruzione dei cuscinetti adiposi delle guance con retrazione cicatriziale della cute. I granulomi non erano visibili se non durante infiammazione.
La mia prima scelta è stata quella di sottoporre la paziente ad un ciclo di PRF per sbrigliare le aderenze cicatriziali e sciogliere eventuali residui di idrossiapatite di calcio.
Dopo 5 sedute a distanza di 30-40 giorni la situazione era notevolemnte migliorata con riduzione delle aderenze. L'eliminazione della fibrosi ha altresì permesso la risalita dei granulomi verso la superficie ed è stato possibile evacuarli (dopo due anni il filler era ancora perfettamente integro e presente in notevole quantità!) e trattare i piccoli residui con jaluronidasi.
Per il ripristino dei volumi ho fatto ricorso ad un lipofilling, anche per migliorare ulteriormente la componente cicatriziale e la qualità cutanea.
Il secondo caso
Il secondo caso che mi si è presentato è un paziente di sesso M che si era sottoposto a un trattamento di ingrandimento del pene con filler di acido ialuronico. Ha eseguito due sedute, dopo la prima non ha riportato effetti collaterali, ma con la seconda ha iniziato a manifestare bozzi duri che provocavano dolore e pseudofimosi. Riferisce che il prodotto usato nella seconda seduta era molto più duro rispetto all'inizio e che tali bozzi si sono sviluppati immediatamente.
Dopo circa 4 mesi da questo episodio si è rivolto alle mie cure poichè il centro dove era stato eseguito il trattamento non si era più reso disponibile. Abbiamo iniziato con cicli di jaluronidasi 1 volta alla settimana per 8 volte, eseguiti in cannula con curettage della componente fibrotica. Lo scioglimento del prodotto è stato molto blando poichè, sebbene fossero passati solo 4 mesi, si erano già formati granulomi di discrete dimensioni e con abbondante componente fibrosa.
Sono state necessarie due ulteriori sedute di Triamcinolone per eliminare due granulomi duri (abbondantissima componente collagenica) formatisi sul prepuzio. Il paziente è ora contento della risoluzione del quadro (dopo 6 mesi di cure) e si sottoporrà con me ad una cauta seduta di ingradimento del pene.
Da queste esperienze personali, ed anche, soprattutto, per fornire la massima sicurezza e qualità ai miei pazienti, ho scelto di non usare prodotti permanenti o contenenti idrossiapatite di calcio o acrilici. I filler che utilizzo sono prodotti esclusivamente da Bioformula, azienda italiana leader nel mondo della medicina estetica. Questo oltre a fornire prodotti della massima qualità, valorizza anche il made in Italy, mi permette di portare in luce una eccellenza tutta italiana, di cui conosco i prodotti e so come vengono elaborati; mi reco spesso in azienda appunto per essere presente in prima persona anche durante l'elaborazione dei materiali. Gli standard qualitativi e la sicurezza del paziente sono sempre al primo posto nel mondo Bioformula, infatti da questa nostra collaborazione nascerà una "Carta dei Valori" nella quale saranno riportati i valori di trasparenza, completezza e correttezza di comunicazione tra medico e paziente.
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